The price of the wings - Primo sangue


Come promesso continua il racconto lungo o meglio la fanfiction che avevo presentato la settimana scorsa, invece causa influenza pasquale gli altri progetti hanno preso un brusco rallentamento ma spero di pubblicare presto anche le mie storie rifinite.
Intanto godetevi la seconda parte del racconto The price of the wings che continua in un crescendo di emozioni.

Primo sangue


"I giochi sono finiti."

"Loro non lo permetterebbero mai."

"Per me sono finiti."

"Perché?"

"Nulla ha più senso. Perché i giochi dovrebbero averne?"

"Non ne hanno mai avuto."

"Forse voglio il game over. Forse voglio morire."

"No."

"Perché?"

"Perché c'è sempre speranza."

"Cos'è la... speranza?"


Poche erano le tappe della propria vita che gli Angeli attendevano con ansia, e dopo il Volo vi era Il Lancio dal nido.
Non vi sarebbero più state mura a limitarli, ma solo chilometri infiniti di cielo in cui nuotare e vento con cui giocare. A dodici anni gli Angeli potevano finalmente librarsi senza limitazioni.
A dodici anni Djbril avrebbe realizzato il suo sogno, e a pochi giorni dalla data volava rasente ai soffitti, colmo di eccitazione e aspettativa; aveva aspettato quel momento per molto, moltissimo tempo, e ormai non riusciva più a contenersi.
“Sarà meglio che tu scenda” lo rimproverò burbero Mika “Non voglio farmi la doccia con la tua zuppa” disse, indicando il piatto che lui aveva posato sul tavolo, ma che l’altro si era portato a tre metri da terra circa.
Il rimproverato sbuffò, prima di scendedere di quota e sederglisi vicino. Gli diede una spallata, facendo cadere il contenuto caldo del cucchiaio che Mika aveva in mano sui pantaloni, suscitando in chi era loro vicino e aveva assistito alla scena una risata divertita, mentre il povero ragazzo si alzava in piedi, le gambe della tuta ovviamente sporche.
“Maledetto…” sibilò, senza però riuscire a trattenere un sorriso mestofelico.
“È la guerra che vuoi?” domandò, afferrando il piatto, colmo del liquido bollente: chi gli era vicino trattenne il fiato.
Almeno fino a quando Mika non inondò il Compagno, che boccheggiò “E guerra avrai!” concluse, prima di scappare, nel tentativo, fallimentare, di salvarsi dalla risposta dell’altro, che ovviamente non tardò ad arrivare.
“Guerra di cibo!” saltò su a quel punto Dean, lanciando a sua volta la zuppa contro la prima schiena che gli capitò davanti: sfortuna per lui era quella di Martha, che odiava quei giochini infantili. Quando infatti si voltò verso il ragazzino, questi si fece minuscolo sotto al suo sguardo di fuoco: “Piccola pulce…” sibilò lei “Come hai osato?!” ringhiò, afferrandolo per il colletto della tuta per poi sollevarlo da terra. Era la più forte fra tutti, e non aveva mai perso il suo primato di femmina alfa. Per questo nessuno osò muovere un muscolo fintanto che lei non avesse dato loro la possibilità di farlo.
Nessuno a parte Mika e Djbril, ovviamente, che, quando e se avevano voglia, punzecchiavano la ragazzina fino allo sfinimento. Da quando aveva rischiato di ucciderli entrambi non li aveva quasi più toccati, con grande sollievo dell’Impuro.
Djbril afferrò un panino grande quando il suo pugno, per poi immergerlo nella zuppa. Questi ovviamente la assorbì, divenendo un’ottima e pesante munizione. Mika lo imitò, e quando entrambi furono pronti presero la mira “Dean, giù la testa!” urlarono all’unisono. Il ragazzino ubbidì giusto in tempo, mentre due veloci pallottole di zuppa e pane andavano a colpire Martha giusto in fronte, con una forza tale da farla sbilanciare abbastanza da lasciar andare il suo ostaggio. Questi, in un moto di coraggio, la spinse all’indietro. La bambina finì a schiantarsi fra piatti e portate, e non appena i due delinquenti la sentirono ringhiare scapparono verso l’uscita, impegnati nello stesso tempo a trattenere le risate.
Martha ci mise qualche secondo per rimettersi in pista, ma quando lo fece scattò nella loro direzione, piena di rabbia “Maledetti fallimenti!” abbaiò.
Le porte che separavano il refettorio dal resto dello Stabilimento si aprirono giusto in tempo per far scivolare i due ragazzini ai lati di Mss butterfly, che evidentemente era accorsa appena l’avevano avvisata del trambusto - le briciole di pane che aveva in viso e sui vestiti erano la prova che era stata interrotta nel bel mezzo del pasto.
“Mika! Djbril!” esclamò, frastornata, per poi ritrovarsi davanti una furiosa Martha.
“Mi faccia passare per favore, Miss!”
“Che cosa hai intenzione di fare?” domandò, perplessa la donna.
“Rendere loro pan per focaccia!”
“Sai che vogliamo che riserviate le energie per i Giochi… ora torna indietro a ripulire il macello che hai fatto. Dopodiché una bella doccia non te la toglie nessuno, Martha.”
“Ma…” cercò di protestare la bambina “Nessun ma. Ora fila” insistette, mentre alle sue spalle, udibile solo da chi possedeva l’udito fine degli angeli, risuonava la risata esultante dei due vincitori.


Mika aprì l’acqua per venire inondato da un getto tiepido e piacevole.
Chiuse gli occhi, godendo la sensazione sulla pelle nuda: erano poche le occasioni in cui non portavano la divisa aderente e a pezzo unico che portavano da quando avevano memoria, e poter sentire quel dolce contatto a pieno lo faceva sentire… vivo.
Non vi era nulla di personale in quell’ambiente, così come in nessun’altro nella Scuola, dalle pareti grigie e i pavimenti bianchi, ma i bambini vivevano nel bianco: solo dalla terrazza potevano realmente entrare in contatti con gli altri colori.
Mika però sapeva che se fosse salito sulle spalle di Djbril avrebbe potuto arrivare alle finestrelle che facevano uscire l’umidità e che, se si fosse sforzato, se si fosse allungato all’inverosimile, fuori, col volto quasi contratto dal dolore, avrebbe potuto sfiorarle; quelle foglie verdi e vive.
Era un segreto suo e di Djbril, perché nessuno pareva notare quell’albero, che cresceva, intoccato, in quel cortile murato di cui tutti parevano ignorare l’esistenza. Era bellissimo, alto e grosso, le foglie di un verde brillante, e Mika si chiedeva come potesse erigersi così imponente, col poco sole che gli arrivava.
Ogni anno la distanza fra lui e quella meraviglia si abbreviava, e ormai era quasi arrivato a sfiorarlo. Avrebbe strappato la sua prima foglia, diceva, e l’avrebbe divisa col Compagno. Avrebbe fatto bene un po’ di verde in mezzo a tutto quel bianco. Il verde significava qualcosa di importante che il giovane non riusciva però ancora a comprendere.
“Sarà un grande giorno, Mika” sputacchiò Djbril sotto la doccia, rompendo la riflessione dell’altro, che si limitò a socchiudere un’occhio per guardarlo male “Tutto cambierà”
“Voleremo solo più in alto, Djb.”
“Infatti! E più forte. E non ci sarà niente a bloccarci.”
Mika sorrise, intenerito dall’entusiasmo dell’altro. Col corso degli anni le differenze fra loro si erano accentuate sempre più, e lui era semplicemente divenuto più bravo nel nasconderlo. Per quanto fosse ormai capace di volare, era difficile. Terribilmente difficile. Tentare di sollevare una montagna sarebbe stato appena più faticoso.
Ma riusciva a mascherare il suo disagio quel tanto che bastava per superare i Giochi, e quando non ce la faceva la mano di Djbril era sempre lì, pronto ad aiutarlo, per volare più in alto, per volare più forte. Djbril era ciò di cui aveva bisogno per sentirsi completo e adeguato.
Se lui era al suo fianco avrebbe potuto fingere di essere l’Angelo che non era.
“Grazie Djb” si lasciò scappare.
“E di cosa?” lo vide sorridere, per poi lasciare la sua cabina e andare a prendergli le mani, stringendole come solo lui sapeva fare, infondendogli quella dolcezza e quel tepore che Mika poteva solo immaginare come provare “Io ti voglio bene.”
“Hai ragione tu… sarà un grande giorno.”
“Riusciremo a prendere quella foglia verde.”
“Sì.”


Sopra quel dirupo di acciaio, sulla Torre di Babilonia, vi era solo vento.
Se Mika chiudeva gli occhi, per la prima volta in vita sua, si sentiva per davvero un Angelo.
Poteva percepirlo, quel contatto col puro, con la libertà, con il potere del senza confini.
E se il suo cuore era pieno di quella strana euforia, il volto di Djbril, al contrario di ogni previsione, era calmo. Ed era bellissimo.. Se Mika avesse guardato negli occhi del Compagno vi avrebbe visto la vastità del cielo. La libertà a portata di battito. Sarebbe bastato chiudere le palpebre e lasciarsi andare.
Addio ingombranti pensieri.
Addio tremende paure.
“Non vogliamo che superiate le mura della città, intesi?” Miss Butterfly ruppe il vociare agitato dei dodici bambini che, entusiasti, si voltarono nella sua direzione, pieni di aspettativa.
“Sì, Miss…” rispose con la sua vocina Clara che era la seconda nel volo.
“La Scuola si preoccupa per voi, piccola” le sorrise, dandole un buffetto sulla guancia paffuta “Vogliamo che impariate a controllare lo spazio aereo, prima di iniziare i giochi volanti” si voltò verso Djbril, che pareva il punto di forza del gruppo.
“Caro, potresti ripetere per favore le regole dell’uscita di oggi?” lo spronò la donna, e il dodicenne annuì. Gli altri bambini portavano gli occhi su di lui “Inizialmente potremo volare solo attorno alla Torre, ma quando avremo preso confidenza con la grande altezza e saremo certi della nostra stabilità potremo dirigerci verso le giostre.”
Il ragazzino, così come diversi suoi compagni, si sporsero verso il vuoto, osservando la grande pianura che li circondava. Proprio in fronte a loro, oltre le porte della città, minuscoli alla vista, si ergevano anelli e percorsi ad ostacoli “Allora potremo sorvolare la città, stando sempre ad una distanza di sicurezza che non allarmi i cittadini. Quando saremo lì potremo cominciare a giocare” nei giorni precedenti avevano ripetuto loro le regole del Lancio innumerevoli volte.
“Molto bene, Djb” lo carezzò sul capo Miss Butterfly “E ricordate” li avvisò un’ultima volta “Al suono delle campane dovrete interrompere subito ciò che state facendo per tornare qui. Intesi?”
“Sì, Miss Butterfly” rispose in coro i bambini.
“E ora andate. È tempo che lasciate finalmente il nido.”


Alcuni si sollevarono in aria prima di lasciare la terrazza, muovendosi piano, con titubanza. Non erano abituati ad avere tanto spazio attorno a loro; questo li terrorizzava più che eccitarli. Non vi era più la certezza che un dolce pavimento avrebbe accolto le loro cadute, e perdere la concentrazione significava dolore. Molto dolore.
Per altri invece era il contrario. Martha per prima, si lasciò cadere emozionata nel vuoto, urlando un qualche strano grido di incoraggiamento. L’istante dopo la videro attutire sgraziatamente la caduta per poi iniziare a muoversi a scatti nelle più svariate posizioni. Cosa che facevano tutti, dato che non riuscivano a calcolare la forza. Vi ci si metteva anche il vento, che nelle arene e nei giardini di allenamento di certo non era presente. Li avevano avvertiti, delle fredde ventate d’aria dovute all’altezza che li avrebbero fatto sbandare. I giovani Angeli quindi preferirono di gran lunga rimanere nei pressi della torre, restii a lasciare il nido, piuttosto che avventurarsi già verso il parcogiochi.
E mentre Marcus, in aria già da diversi minuti, a causa di un’improvvisa folata, si ritrovava a fare una capriola, Djbril si limitava a godersi il momento, ancora coi piedi per terra.
Affianco a lui, Mika. Ma se il primo si limitava a godere della sensazione della pelle, dell’eccitazione crescente che si muoveva serpeggiante in lui, deciso di vivere a pieno quella sua prima volta, l’Impuro non staccava le pupille di dosso dai suoi compagni, studiando le difficoltà che incontravano e che avrebbero colto anche lui una volta messo un piede oltre il bordo.
Era lento e impacciato di suo; avrebbe dovuto in breve a capire come sfruttare le correnti, non andare controvento e non finire sulle scie dei suoi compagni. Dubitava che avrebbe saputo adattarsi all’istante alle improvvise sferzate, che avrebbero potuto compromettere la sua concentrazione.
Non avrebbe avuto appigli.
Sarebbe stato solo.
“Andiamo?” Djbril sorrideva. Come sempre. Mika si illuminò di rimando, e le loro mani si mossero riprocicamente incontro con disinvoltura, come se si fosse trattata semplicemente di una mossa scritta nel copione. Sarebbe stato il loro primo passo verso qualcosa che non era più certo. Niente pareti bianche ma decori di nuvole. Niente pavimenti o soffitti. Semplicemente metri e metri di eccitante caduta, fino a quando non avrebbero planato, per poi tornare verso l’alto, sempre più veloci. Invincibili.
“Vince chi non cade a terra spiaccicato.”
Si lasciarono cadere assieme, le mani strette. Ben presto il peso della teste li fece capovolgere e i due si ritrovarono abbagliati dal riflesso di ciò che si trovava sotto di loro. Mika sentiva la gravità chiamarlo a sé, insistente, e gli occhi gli si riempirono di lacrime; un’altra irregolarità dovuta alla sua impurezza. Gli Angeli erano fatti per il volo e per questo possedevano una palpebra trasparente che permetteva di proteggere l’occhio dal vento.
Lui no, e quindi chiuse gli occhi. Era cieco, ma qualcun’altro avrebbe visto al posto suo. Dijbril gli strinse la mano, e quando sentì che la sua velocità diminuiva rispetto a lui, cercò di isolarsi, per riuscire a raccogliere le idee. Come sempre, immaginò l’aria, gli atomi che la componevano, l’ossigeno, l’azoto, l’argon e l’anidride carbonica, ancorarsi a lui, sorreggendolo, spingendo perché frenasse. Mentalmente, realizzò uno scivolo invisibile, e sempre lentamente, con Dijbril al fianco, cominciò a curvare, scivolando in avanti. Il Compagno regolò da prima il suo volo con quello di Mika, e quando lo vide abbastanza stabile, si portò in avanti, guidandolo.
D’improvviso non stavano più cadendo.
Stavano volando. Senza confini, gabbie o muri. C’erano solo loro e il cielo. Djbril urlò di gioia e pianse assieme a Mika, ma per la commozione. Non vi era più nulla, solo il sapore della libertà.
E quello delle labbra di Mika, che si era stretto a lui.
Lo baciò, per condividere con lui ciò che stava provando, e ci riuscì.
Voliamo stava pensando l’Impuro.
Siamo liberi piangeva l’Angelo.
Lo stiamo facendo assieme si strinsero, mentre sfrecciavano, più veloci del vento, intoccati dal tutto, dalla città, dalla Scuola, dalle regole. Quali regole avevano ancora importanza quando sconfiggevi quelle della gravità?
Mika, gli occhi ancora chiusi, si sentì scioglere dal bacio e dall’abbraccio e, seppur a malincuore, si lasciò condurre dal Puro, che modificò la rotta. L’Impuro socchiuse appena gli occhi, trovando i tetti delle case terribilmente vicini.
È vietato gridò nella sue mente.
E cosa significa sentì l’eco dell’anima dell’altro rispondergli mentre, eccitato, si abbastava ancora di più, quel che bastava per cominciare a fare lo slalom fra i camini, i fili dei panni e i cavi. Sarebbero bastati anche pochi centimetri e, a quella folle velocità, sarebbero morti. Uno sgarro. Un moscerino.
Ma Dijbril non avrebbe mai sbagliato. Semplicemente non poteva.
Sentirono, o per meglio dire percepirono la fine delle esclamazioni di sorpresa e paura della gente che li vedeva sfrecciare sopra di sé. In un qualsiasi altro momento avrebbe avuto il terrore di qualcosa di così sconosciuto come un volto diverso da quelli che aveva conosciuto alla Scuola. Così tante cose nuove, inesplorate. Così tanti impossibili e terribili nemici.
Ma lì, nella scia di Djbril, nulla avrebbe potuto fargli del male. Finalmente sapeva cosa provava l’altro. Vivere senza paura. Senza preoccupazioni. Decisi a godersi solo della sensazione del Tutto sulla pelle.
Urlò anche lui, spaventando gli uccelli che si alzarono al loro passaggio.
Mika aprì gli occhi, deciso a non togliersi niente, nonostante tutto, e scoprì che poteva farlo. Non vi era più il vento a ferirlo. Poteva vedere, e studiare l’angelica figura del Compagno che volava in fronte a lui, sicuro e certo come nient’altro nella sua vita. Se Mika aveva un punto fisso, un centro, quello era Djbril.
E da che si lasciava trascinare, gli si portò al fianco e ancora lo superò, decidendo lui la loro direzione. L’altro lo lasciò fare, di nuovo silenzioso e quieto, nonostante tutto. Semplicemente comsumava la sua gioia con naturale calma, senza fretta, sazio di tutto ciò che stava provando.
Finalmente sorvolarono le mura.
Avevano lasciato Babilonia.
Avrebbero potuto volare via.
Soli, fino a quei monti che erano il confine del loro mondo, e poi oltre ancora, fino a terre nuove e mai esplorate..
E poi ancora più lontano.
Mika si chiese spesso, dopo, perché non lo fece. Perché non lo avesse trascinato l’altro verso l’infinito, lontano da quella rotta sicura e conosciuta.
Sarebbe stato tutto diverso poi. Sarebbero stati felici.
Sarebbero stati assieme.


Quando gli altri giovani notarono che i due avevano lasciato con sicurezza i confini della torre cominciarono, impacciati, a dirigersi verso le giostre. I più volavano da soli, attenti a non guardare sotto di sé, facendo quasi finta che la vita di quelle persone comuni non si stesse svolgendo più o meno indistubata sotto di loro. Avevano paura che se solo avessero osato abbassare lo sguardo qualcosa di terrificante e sconosciuto si sarebbe aggrappato alle loro gambe, portandoli via, chissà dove.
Quando finalmente superarono le mura ritrovarono Djbril e Mika seduti in bilico su uno dei diversi trespoli su cui evidentemente era concesso loro riposare e che già erano abituati a usare nelle palestre.
“Siete in ritardo!” ridacchiò Dijbril quando Clara atterrò con grazia alla sua sinistra, perfettamente in equilibrio.
“Nessuno ci correva dietro”
“Perché già lo facevamo davanti” le fece la linguaccia l’Impuro.
“Spiritoso!” incrociò indispettita le braccia ossute la bambina, che gettò un’occhiata al suo Compagno. James era il più alto e impacciato della Classe. Pareva quasi che gli fossero d’improvviso cresciuti venti centrimetri all’improvviso e quindi calcolava male i gradini, le enormi falcate erano sgraziate, e spesso inciampava nei suoi stessi piedi. Ma aveva il cuore d’oro di Clara, che aveva per lui la stessa funzione che Djbril avrebbe dovuto avere con Mika; inflenzarlo in meglio.
Se James era un disastro sulla terra, però, in aria superava ogni più rosea aspettativa. Non per questo Martha e il suo gruppetto di amici gli risparmiavano appellativi che facevano impallidire anche Mika, che ormai ignorava ogni nota velenosa che usciva dalla bocca di quella vipera.
Forse per questa cosa in comune i quattro avevano fatto gruppetto, sia a mensa che in quei giochi dove la squadra necessitava più di due elementi.
“Non lo raggiungi?” domandò, calmo, Djbril “Ha bisogno dei suoi spazi” rispose lei.
“E lo credo. Altrimenti dove le metterebbe le gambe” Mika ricevette in risposta solo un’occhiataccia, ma battute del genere erano frequenti nel gruppetto e non risparmiavano nessuno.
Rimasero poi in silenzio, osservando i loro compagni dilettarsi fra cerchi, slalom e acrobazie varie. Vi era una rete sotto di loro, e quindi osavano di più. Alcuni calcolarono male i tempi, dando capocciate che li stordivano per qualche istante, facendoli cadere. Quando poi si ritrovavano sulla rete che li faceva saltare su e già riprendevano il volo, più ridenti e rossi in fronte di prima.
Uno spettacolino divertente, ma non era quello che interessava realmente Mika. Lui guardava le montagne. Nonostante tutto lo spazio che avevano percorso per arrivare fin lì quelle vette che tante volte aveva disegnato e che parevano addirittura innevate non si erano avviccinate neppure di poco.
Concluse che la distanza doveva essere incredibile, e la loro grandezza incalcolabile.
“Ti piacerebbe raggiungerle?” domandò con un tono ammirato Djbril, interrompendo la sua concentrazione “Sarebbe impossibile.”
“E chi lo ha deciso? Se Lilith lo vuole tutto è a portata di mano” gli sorrise, mentre chiudeva gli occhi, in faccia un’espressione soddisfatta. Mika scosse la testa di rimando.
“E poi perché vorrei? La Scuola è la nostra casa. Lì abbiamo tutto ciò che abbiamo bisogno per vivere ed essere felici” ripeté a pappagallo quella frase che era impressa nell’anima di tutti loro a fuoco.
La Scuola vi vuole bene, e finché voi ne vorrete a lei non avrete da preoccuparvi di nulla.
La Scuola vuole solo il vostro bene.
La Scuola vi conosce e vi capisce.
La Scuola vi Ama.
“Non so…” sospirò Djbril “Non sarebbe bello invece se lo fosse il cielo?” domandò genuino Djbril, alzando sopra di sé una mano col palmo aperto, come intenzionato ad aggrapparsi a quella coperta azzurra.
“Le nuvole come soffitto, la terra come letto… Abbiamo mai toccato la terra?” domandò poi, e Mika abbassò lo sguardo su quella polvere marrone e verde che stava sotto di loro. Ripeté mentalmente la domanda del Compagno e si accorse che no, non lo avevano mai fatto. Ne avevano letto nei libri di storia e scienze, così importante per la vita, ma mai li avevano fatto toccare con mano.
Era così differente dal bianco dei pavimenti della Scuola.
“Secondo me fa schifo” commentò apatico “Così sporco, pieno di germi e batteri.” Djbril rise a quella risposta così oggettiva, ma il bambino era fatto così. Vedeva le cose per come erano, non per come voleva che fossero.
“Beh, solo in confronto a noi.”
“Cos’è quella nuvola marrone?” li interruppe Clara, che aveva anche lei preso a guardare le montagne. I due giovani seguirono il suo sguardo, e notarono che in effetti qualcosa si stava muovendo. E anche piuttosto velocemente.
Pareva quasi… “Una tempesta di sabbia?”
“Non vi è sabbia attorno a noi.”
“A quella distanza potrebbe” rispose assorto Mika, prima che la sirena della Scuola li facesse sobbalzare; si guardarono perplessi. Era già ora di tornare?
Alla sirena si unirono le campane delle vedette delle mura. Non erano stati gli unici a notare che c’era qualcosa di strano.
“Andiamo” si alzò in volo Clara che, senza aspettarli, andò a recuperare James dalla rete. L’improvviso e potente suono lo aveva confuso, facendolo andare a
battere.
I due rimasero invece lì ancora per qualche istante, per chissà quale motivo, incantati. Mika si riscosse per primo e portò gli occhi dalla tempesta a Djbril. Inizialmente quasi non notò la freccia che invece il Puro fissava con insistenza, quasi con rabbia. Sembrava accusarla di essersi andata a ficcare nel suo sterno apposta per fargli un dispetto.
“Djb…” Mika lo osservò perdere la presa e cadere. Il trespolo su cui erano seduti non doveva essere stato considerato una zona pericolosa e quindi non vi erano reti di protezione. Nulla ostruiva la discesa del bambino verso il duro terreno.
“Djb” ripetè, la voce strozzata, l’Impuro, deciso a buttarsi al suo inseguimento. Se il Compagno doveva cadere, lo avrebbe fatto con lui. E magari sarebbe stato proprio come dalla Torre: si sarebbero risollevati, assieme.
“Mika!” qualcosa, o qualcuno, che scoprì poi essere Martha, lo agguantò al volo, salvandolo da un’altra freccia che questa volta puntava proprio a lui. Il ragazzino si aggrappò disperato ai ricci di lei “Dobbiamo salvarlo! Sta cadendo!” avrebbe potuto opporsi al moto della Pura, sfuggire volando via, ma il battito terrorizzato del suo cuore copriva tutto, anche i suoi pensieri.
“Non ce la faremmo mai!” sibilò la ragazzina, mentre si dirigeva verso la Scuola, traendo forza dalla paura “Ora dobbiamo solo sperare di arrivare in salvo alla Tor…” non riuscì a completare la frase che un’esplosione a loro vicinissima la sbalzò via, e Mika si ritrovò a roteare in aria, solo e perso, senza più sapere dove fosse il sopra e dove il sotto.
Poi fu tutto nero.
Quasi non provò dolore.
Quasi.


Quella volta riuscì ad aprire solo un occhio; l’altro era molto probabilmente coperto da una benda, così come, gli pareva, metà del volto. Si sentiva stordito, e studiò i numerosi tubi che lo circondavano senza riuscire a formulare un pensiero di senso compiuto.
Vi era solo quel lento e costante bip che pareva dimostrargli, deciso, che il tempo scorreva ancora. Solo dopo molto che era cosciente capì che era il battito del suo cuore.
“Si è svegliato” gli sembrò di sentire, per quanto non riuscì a capire da dove fosse arrivata quella voce “Risponde bene alle cure nonostante l’impurezza” disse qualcun’altro.
Socchiuse le labbra con fatica, mentre rantolava qualcosa.
“Tranquillo caro. Va tutto bene” lo raggiunse una voce che avrebbe dovuto aiutarlo a trovare la calma. Peccato che non riusciva proprio nel suo intento “Cosa c’è?”
Fu con fatica che il ragazzino riuscì a mettere assieme quelle poche sillabe “Dj… bril…”
“Come?”
“Dov’è… Djbril…”


“Fate piano! Piano! Queste ferite si posso curare, ma non facciamogli altro male.”

“Questi capelli bianchi fanno impressione.”

“Thomas, non perderti in queste cose e pensa piuttosto a non farlo cadere.”

“Ma fa davvero senso!”

“Jean, potresti per favore far tacere tuo fratello?”

“Scusa Cornelia, se ho i conati al solo stargli vicino. Perché non ci pensi tu a portarlo?”

“Perché non ho la tua forza, caro il mio principino.”

“Che persona inutile sei.”

“Chi… chi siete?”

“O mio dio! Si è svegliato!”

“Idiota! Perché lo hai lasciato cadere?!”

“E se si gira e fa qualche diavoleria?”

“Che cuor di leone, Thomas… Tranquillo piccolo, va tutto bene. Come ti chiami?”

“Io… Djbril.”

“Bene Djbril. Vediamo di diventare amici, perché ci aiuterai, che tu lo voglia o meno.”



CREDITS

Si chiude con questo scambio di battute la seconda parte di questo racconto scritto da L_aura_grey ma come avrete capito leggendo la storia è ben lontana dal concludersi e presto vedrete su questo blog anche la terza parte, intanto un sentito ringraziamento all'autrice di questo splendido racconto.

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