The price of the wings - Prime parole


Dopo una lunga assenza tornano le fanfiction su questo blog, trovo che l'estate sia un momento magico per leggere perché si è tutti più rilassati e felici quindi le parole scorrono direttamente dai libri al cervello rimanendovi.
Quindi mi sembra giunto il momento di pubblicare la terza parte del un racconto lungo The price of the wings.

Prime parole


“La speranza… è… ecco...”

“Vedi? Fai finta di conoscere le cose e poi non è così. Anche tu menti.”

“Non e vero! Semplicemente non è facile da spiegare.”

“Scuse. Solo scuse. Vivo in una prigione di scuse.”

“La speranza è… desiderio. Vincere e desiderare di farlo ancora. Cadere e desiderare che non accada più. Vedere una persona sorridere e desiderare che per mano nostra lo faccia di nuovo.”

“La speranza è desiderio. Perché inventare una nuova parola così inutile?”

“Perché non è esattamente la stessa cosa… la speranza è un sentimento più puro. Ti da la forza per guardare avanti. Ecco! La speranza è un motore.”

“Un motore?”

“Sì. Se desideri vuoi soltanto che accada. Ma se speri fai di tutto ciò che è in tuo potere per far sì che avvenga. Ti da la forza se ne hai bisogno. Aiuta ad arrivare alla fine della giornata ancora interi. E anche alla fine di quella dopo. E quella dopo ancora.”

“E cosa potrei sperare? Il ritorno in vita di un morto?”

All’inizio non era stato facile.
Anche solo respirare con un polmone mezzo bruciato gli causava fitte di dolore che avrebbero piegato anche il più orgoglioso degli uomini. Glielo avevano detto: era solo grazie al suo fattore di Purezza se era ancora vivo. Avrebbe dovuto ringraziare e pregare la Grande Madre per quella salvezza.
Mika non aveva mai fatto notare che se si trovava in aria in quel momento, ad un’altezza perfetta per risultare facilmente nel mirino del nemico, era proprio a causa di quella Purezza. A chi avrebbe potuto interessare? Chi sarebbe andato oltre quell’osservazione?
Era semplicemente successo.
Per questo in quel momento, quando si osservava allo specchio, al mattino, vi era quello sfregio a spiegargli cosa fosse successo. Ma del perché sapeva poco.
Semplicemente andava ad aggiungersi al ciuffo nero che si imponeva, punto nero in un foglio bianco, come promemoria; entrambi mostravano cosa non era.
Studiò apatico la propria espressione ancora per poco, per poi chiudere l’acqua che stava facendo andare già da qualche minuto. Lasciò il bagno per raggiungere la propria cuccetta dove aveva già pronta la divisa della Scuola.
“Ehi campione!” gli comparve alle spalle Marcus, che gli diede una fraterna pacca sulla spalla “Diciassette. È un bel numero. E finalmente potrai tenere la prova per diventare Capogruppo.”
Mika lo osservò per qualche secondo, prima di tornare a sistemare le sue cose. Sapeva della gelosia dell’altro; avrebbe dovuto aspettare ancora tre mesi prima di poter accedere alla prova, ma le regole erano chiare.
“Cosa ti dice che abbia intenzione di farla?”
“Ovvio che la farai!” esclamò interdetto il giovane “Sei il migliore sia nelle materie fisiche che in quelle teoriche. Hai il rispetto di tutti. Sei il candidato perfetto!”
Se rispetto era la paura, sì, tutti provavano quel sentimento verso l’Impuro. Ne era più che conscio. Erano lontani i tempi in cui era il più debole e il più lento. Il dolore lo aveva alimentato, lo aveva fatto crescere e maturare.
Il dolore era stato un compagno più utile di quel che aveva prima.
“Il comando non è nelle mie ambizioni.”
“Dovrebbe.”
“Martha!” si girò di scatto Marcus, preso alla sprovvista “Che ci fai nel dormitorio maschile?”
“Sono venuta a parlare con l’unico maschio con le palle qui dentro. Quindi vedi di scomparire da solo, Trottola, altrimenti ci penso io. Vai a rotolare da qualche altra parte.”
Il giovane arrossì per la vergogna, come sempre quando la ragazza tirava fuori il soprannome che gli aveva affibiato dopo che aveva notato come gli fosse difficile muoversi in aria senza fare qualche giravolta.
Mika osservò impassibile. Un tempo avrebbe difeso Marcus. Avrebbe risposto a Martha per le rime e l’avrebbe fatta incazzare, facendole notare il fatto che si trovava nel posto giusto, perché davvero non capiva perché non l’avessero assegnata fin da subito nel dormitorio maschile.
Un tempo.
“Ti aspettano per le cinque di questo pomeriggio” incrociò le braccia la Pura mentre osservava la sua vittima scappare con la coda fra le gambe.
Mika si limitò ad assimilare la notizia in silenzio, mentre si toglieva con lentezza la tuta che indossava per dormire “Immagino che sia stata tu a recapitare la mia domanda…”
“Eri troppo occupato a studiare e non ho potuto dirti di no. Infondo siamo così cari amici…” non vi era nulla di vero nel sorriso che gli mostrava. Ma forse era proprio la falsità di quel rapporto che li legava; un sfruttarsi a vicenda, e se da una parte vi era il quieto vivere per il giovane, Martha semplicemente scommetteva e investiva nel cavallo vincente.
Mika finì di vestirsi per poi dirigersi verso l’uscita del dormitorio. Ovviamente Martha lo seguì.
“Non ho intenzione di andare.”
“Vuoi rimanere una semplice pedina per sempre? Non ti godi il gioco se sei troppo avanti. Vedi troppo bene.”
“E se anche fosse?”
“Stai scherzando, vero?! Tutto il tuo potenziale, tutto quello che potresti fare…” quando la Pura notò che il giovane stava accelerando il passo per distaccarla gli afferrò la spalla con forza. Non appena lo sfiorò, però, questi si girò prendendole con forza il gomito. Le fece male, ma Martha non si fece sfuggire una smorfia.
“Non sta a te dirmi cosa posso o non posso fare” sibilò, per quanto sapesse che stava facendo il suo gioco; lo stava portando fuori dalla sua abituale apatia. Era l’unica che vi riusciva.
“Pensi che sia differente per me stare in prima linea o guidare qualche stormo? E inoltre, che vantaggio ne avresti tu? Non sei il mio… Compagno. Tu hai July. Io non ho nessuno e sono un Impuro.Non mi prenderanno neppure in considerazione.”
“Sarebbero dei pazzi se lo facessero” era vero, ed entrambi lo sapevano.
Martha strattonò via la mano dalla presa ferrea dell’Angelo, che si era allentata.
“Tu oggi pomeriggio andrai a presentarti… e quando passerai l’esame - perché sappiamo tutti che lo passerai - chiederai esplicitamente che io ti venga assegnata come spalla, almeno, perché tutti hanno bisogno di qualcuno che gli guardi la schiena ai piani alti… È tempo che tu lasci il nido, Pecora Nera. E io ho pagato il biglietto per farlo, comoda comoda, sulle tue ali.”
Questa volta fu lei ad incamminarsi per lasciare indietro il ragazzo, ma la voce dell’Impuro la fece voltare.
“E a lei non pensi?”
“Come?”
“July…”
“È sempre stata troppo debole. Non ho mai capito se volessero potenziare lei o frenare me. Se lo scopo era il secondo, non ci sono riusciti. Non sarà certo per colpa sua che vivrò una vita mediocre.”
Mika strinse i pugni, prima di riprendere a camminare; non aveva una meta precisa. Voleva solo mettere più spazio possibile fra sé e la giovane.

La palestra di volo era l’unico posto dove poteva intrattenersi senza che nessuno potesse disturbarlo.
Questo non perché fosse vietato fermarsi a parlare l’uno con l’altro, ma semplicemente chiunque provasse a farlo con lui rimaneva con un palmo di mosche.
Il segreto più gravoso di Mika era proprio quello: la sua incredibile capacità di volo. Era veloce. Il più veloce. Preciso. Il più preciso. Nessuno poteva battere i suoi tempi o imitare le sue acrobazie nella Scuola.
Diversi ragazzi si fermavano, per studiare le sue mosse, o anche solo godersi lo spettacolo.
Da tre anni gli Insegnanti avevano unito la sua Classe ad altre.
Da dodici erano divenuti ventiquattro.
Da ventiquattro poi quarantotto.
“Il gioco inizia più velocemente per voi” gli avevano spiegato “Stavamo giocando a nascondino e ci hanno trovato. Ora ci tocca cambiare gioco, e quindi nuove regole.”
Mika, sempre in fondo, osservava truce i loro volti eccitati. Si sentivano speciali. Fortunati.
Lui non condivideva lo stesso parere. Si sentiva solo ferito. Che gioco ti strappava a metà? La tua parte buona? E poi… chi ti permetteva di giocarlo? Da quando gli era balenato in mente quel pensiero non era più riuscito a guardare Miss Butterfly prima, e gli altri Insegnanti poi, con occhi innocenti.
Gli stessi che gli avevano mostrato cosa poteva accadere in quel… gioco.
La gente nuova non metteva più timore a nessuno, perché erano troppi i volti che dovevano memorizzare. Quelli che avevano importanza, però, erano i capigruppo. Ora ne avevano uno piuttosto anziano, stava per compiere vent’anni, di nome Adam. Ovviamente proveniva da una Classe più elevata; aveva sostenuto la prova che aveva però fallito. Gli Insegnanti dovevano però aver visto qualcosa di buono in lui, perché lo avevano assegnato a loro.
A parere di Mika era un’idiota.
Impegava minuti interi per riuscire ad avere l’attenzione di tutti quegli indomabili adolescienti, e poi se la prendeva con loro e con la loro educazione. Faceva favoritismi e, da quando aveva notato il suo effetto sul gruppo, detestava Mika perché era evidentemente più sveglio di lui. Aveva cercato di isolarlo ancor di più rispetto a quel che già era ma i suoi modi erano parsi così grossolani che persino i più ingenui se n’erano accorti. Aveva ottenuto solo l’effetto contrario, e il fatto che l’Impuro non avesse dovuto muovere un dito, lo aveva irritato ancor di più.
Di certo la sua Classe aveva bisogno di qualcun’altro che ne regolasse gli allenamenti e facesse da punto di riferimento.
Ragionava su quello quando un proiettile gli passò proprio di fronte: istantaneamente cercò riparo dietro ad uno degli ostacoli della palestra, e lì rimase ad ascoltare il mugolio di disapprovazione che seguì il colpo mancato.
“Dannazione! Se avessi aspettato appena poco più lo avrei preso!”
“Te lo ripeto sempre che sei troppo avventato.”
“Lo so.”
“Fai tutto di fretta. Come crescere. Quand'è che smetterai?”
“Insomma! Basta!”
A Mika sarebbe bastato ascoltare quegli scambi di battute per riconoscere gli unici che mai lo avevano trattato con condiscendenza per quello che aveva passato. Gli unici che avrebbero mai osato sparargli. Lo avrebbero solo immobilizzato, vero: non avrebbero mai permesso loro di farsi male fino a quel punto, nonostante il fattore di guarigione.
Scese di quota, in direzione di Clara e James, che ancora non avevano smesso di battibeccare.
“Quand'è che crescerai tu? Sono stufo di doverti prendere le cose dai ripiani alti solo perché non ci arrivi e sei troppo pigra per volare.”
“Lo sappiamo tutti che mi rubi il latte! Mi spieghi come faccio a crescere se tu lo fai al posto mio?!”
“Tutte scuse!” James, che riusciva a tirare fuori un po’ della sua grinta solo con la Compagna, vide atterrare Mika proprio in fronte a loro, e quindi interruppe la frase per andare dall’amico.
“Buon compleanno!” lo strinse in un abbraccio che il giovane si limitò a ricambiare con un sorriso; era strano farsi abbracciare da qualcuno che era più alto di te di venti centimetri e passa. Con Clara vi era il problema opposto.
“Felici diciassette Mika! Vieni qui. Devo tirarti le orecchie” l’Impuro si abbassò per permettere alla ragazza per riuscire nel suo intento. Sia lei che James li avevano già compiuti, quindi entrambi portavano la striscia rossa attorno al braccio che li indicava come Over e che poi avrebbero consegnato anche al festeggiato in giornata.
“Grazie.”
“Allora, vuoi fare qualcosa di particolare?"
“Non ho in programma niente per oggi.”
“Bene!” batté soddisfatta le mani Clara “Vorrà dire che festeggeremo la tua entrata negli Over con qualcosa di particolare.”
“Tipo?”
La giovane aprì la bocca per rispondere. Passò qualche secondo. La richiuse.
“Non ne ho idea.”

Alla fine si accontentarono di un pic-nic sul tetto della Torre.
Rubarono in mensa lo stretto necessario per poi passare più o meno indisturbati nel corridoi della Scuola fino a quando non si trovarono di fronte una delle rare finestre della struttura.
Era una giornata strana; non vi era vento. Solo una calda brezza che li accarezzava, nutrendo il loro buon’umore e le loro risa. Ovviamente non era permesso loro trovarsi lì, ma una volta tanto non importava. E il fatto strano per Mika era che non gli importava non perché non sentiva nulla. Semplicemente aveva deciso così. Stava bene.
Ancora una volta osservava Babilonia, ancora una volta la pianura che la circondava, e ancora una volta le montagne. Quelle irraggiungibili montagne.
Abbassò gli occhi sul foglio che Clara gli stava porgendo, piegando un sopracciglio interrogativo.
“Cosa dovrei farci?”
“Un ritratto. A me e a James. Assieme, magari.” gli sorrise lei con dolcezza.
“Io…”
“Quelli che facevi un tempo erano meravigliosi. Ti prego, esaurisci questo nostro desiderio.”
“Non dovrebbe essere il contrario?” rispose divertito, prendendo però in mano sia il foglio che la penna che gli stava porgendo: la volpe si era già attrezzata “E poi… non penso di esserne più in grado. È tanto che non disegno più.”
La giovane si limitò a rispondergli con quel sorriso da Gioconda con cui era nata, prima di andare a posizionarsi in mezzo alle gambe del Compagno, che la cinse in un abbraccio, schiena contro petto, i visi sorridenti rivolti verso Mika.
“Avanti Pecora nera!” lo spronò incerto James “Facci un bel disegno!”
L’Impuro si morse le labbra, osservando prima il foglio, completamente bianco, poi la coppia, che attendeva speranzosa. Decise, per una volta, di non rispondere con un’alzata di spalle.
Dapprima incerto, come tutti quelli certi di aver perso il proprio dono, la propria Musa, cominciò a tracciare le linee guida: cominciò dallo sfondo, le montagne aguzze e innevate; la pianura e poi la cima della Torre. Poi passò a James e Clara: due ovali per i visi, e più o meno lo stesso per i corpi.
Sapeva che il disegno era un’arte che andava costantemente allenata, come i muscoli.
Lì su quella Torre, felice, in pace, forse, sembrava che non avesse smesso neppure per un attimo, i suoi due amici, soggetti perfetti.
Sentì come qualcosa, una catena arruginirsi, uno nodo farsi meno stretto, una serratura scattare. Aveva arginato quella parte di sé così a lungo che d’improvviso ebbe paura di ciò che vi aveva nascosto per così tanto tempo: gli sembrò di tornare ad essere il bambino sperduto che, pesante come mille soli, rimaneva a guardare gli altri librarsi senza problemi, senza pensieri.
Ebbe paura, ma di fronte a quei sorrisi decise di non mostrarne. Di combatterla.
E non fu il dolore o la disperazione a prenderlo, ma piuttosto un caldo vento di malinconia, ma quella buona. Quella che ti fa ricordare con un sorriso, che non ti fa rimpiangere ma che piuttosto ti fa ringraziare perché è avvenuto, perché lo si ha vissuto.
Si permise di farli più belli, più smaglianti, perché quello era l’unico modo che gli Angeli avevano per trattenere la propria immagine; lo specchio era facile da mandare in frantumi.
Accentuò le linee curve e morbide di Clara, gli occhi delicati e le labbra carnose. E ancora gli spigoli indecisi del volto di James, i ciuffi indomiti e le mani lunghe.
Non si accorse del trascorrere dei minuti, delle ore. Vi era lui, il disegno e ciò che aveva visto. I due Compagni ripresero a muoversi, ridere e scherzare, ma Mika non se ne accorse fino a quando, soddisfatto, non posò la matita.
“Wow.”
“Mi hai tolto le parole di bocca. È bellissimo.”
Mika si voltò per fine che no, alla fine non era nulla di speciale. Era arrugginito, e vi erano tanti difetti, dalle proporzioni scorrette alla caricatura forse troppo eccessiva. Non era preparato alle lacrime che scorrevano, apparentemente incontrollate e copiose, sulle guance della giovane.
“Clara?!”
“Io… scusa… è così bello. E io sono così felice. Grazie. Grazie.”
Abbracciò con forza il ragazzo, mentre James gli stringeva la spalla, anche lui commosso ma più controllato. Anche Mika fu felice, e desiderò di poter immortalare anche quel momento con un disegno,  e poi un altro, e un altro ancora.
Impacciato, ricambiò l’abbraccio, mentre ascoltava con piacere quei singhiozzi di gioia.
Gli mancava davvero poco per chiudere gli occhi e sorridere davvero.
Così poco.

“Se è uno scherzo, Mika, non mi piace.”
“Non sono bravo con gli scherzi, signore” rispose questi, impassibile e sull’attenti; Adam non gli aveva ancora permesso il riposo.
“Non mi interessa a cosa sei bravo o meno, Brutto anatroccolo” l’Impuro storse un sopracciglio di fronte a quel nuovo soprannome “Fino a quando sarai sotto la mia giurisdizione rispondi a me e solo a me. Devi andare al cesso? Lo chiedi a me. Arrivi in ritardo alla lezione? Lo vieni a dire a me. Vuoi fare una diavolo di domanda per poter tentare l’esame per Capogruppo?! La porti prima a me!”
“Mi spiace, Signore. Ma nelle regole non vi era scritto” rispose a denti stretti il giovane.
“Non me ne frega nulla che questo sia scritto o meno! È così e basta! Pensavo di essere stato sempre chiaro e gentile con voi. Forse lo sono stato fin troppo!” ringhiò il ventenne, spingendo all’indietro con uno spintone Mika, che si mosse di qualche passo.
Adam pareva al giovane un cane rabbioso il cui territorio era appena stato violato, e così era effettivamente. Se l'Impuro avesse passato la prova vi era l'ottanta per cento che lo mettessero a capo della sua stessa Classe, e ciò avrebbe significato il probabile degrado di Adam, più che una promozione.
"Ora tu vai da loro... dagli insegnanti, e gli dici che hai deciso di tirartene indietro" Mika si irrigidì, rielaborando in ogni modo possibile ciò che Adam aveva appena detto. Come Over aveva dei diritti, ma questo non sembrava interessare al Capoclasse.
“Perché… signore?”
“Ti ho dato il permesso di fare domande?” ringhiò l’Angelo.
“Perché dovrei ritirare la mia domanda, signore?” ripetè convinto Mika. Il Capogruppo lo afferrò per il bavero della tuta, spingendolo poi con forza contro la parete; non vi erano molti centimetri di differenza, ma Adam utilizzò quelli che aveva in più per sovrastarlo. Uno spettacolo ridicolo per il giovane.
“Perchè?!” sibilò a pochi millimetri dal suo volto. Si trovavano nel corridoio dove il più anziano lo aveva intercettato, in un momento dove i più erano a lezione nell’arena ad esercitarsi. Mika era da solo, e avrebbe dovuto cavarsela senza alcun appoggio.
“Perché se tu lo facessi renderei la tua vita un’inferno. Tu, maledetto Impuro. Perché solo la Grande Madre sa come sia possibile che tu, incompleto e imperfetto abbia avuto la… fortuna, di essere così talentuoso” gli sputò in faccia, prima di mandarlo a terra con uno strattone. Mika si limitò a subire, passivo, attutendo come poteva la caduta.
“Non ne ha il diritto” rispose pragmatico il giovane. Ricevette un calcio, bello forte anche.
Si piegò su se stesso, strabuzzando gli occhi per il dolore; si lasciò andare un singulto solo per dare piacere al suo assalitore. Avrebbe infierito ancora di più se avesse visto che aveva sortito poco e niente.
“Io ho il diritto di fare quello che mi pare, finché sono il tuo superiore” gli ringhiò, prima di chinarsi su di lui. Afferrò con forza le corte ciocche dell’Impuro e tirò fino ad avere l’orecchio a portata di bocca.
“Non solo porto il genio dentro te… ma sei anche senza Compagno. Mi hanno raccontato la tua storia, dita d’oro. Non sei stato neppure in grado di salvarlo: non saprei proprio come definirti, se non inutile. Vorresti diventare un Capoclasse? È già tanto che tu non sia relegato a pulire i dormitori o addirittura cacciato dalla scuola. Non dovrebbero neppure prendere gli scarti come te...” Mika si irrigidì, perché conosceva quel pezzo. Lo conosceva a memoria. Prima la sua natura, poi la sua colpa “... è grazia a te che il tuo compagno è morto, sai” lo vide ghignare, trionfante di fronte ai suoi occhi agitati. Un caos di rabbia e dolore, che non desiderava altro che riversare di lui. Colpirlo con tutte le sue forze. E poi di nuovo. E ancora.
“Perché nessuno osa dirtelo, nessuno te lo ha rinfacciato, probabilmente non è neppure scritto da nessuna parte, ma l’hanno notato tutti quelli presenti: se non fossi rimasto a fissare le nuvole avresti potuto accorgertene. Della freccia. per colpa tua invece il migliore tra voi, se non fra tutti, è morto.”
Adam ghignò trionfante quando lo vide tremare: sentiva la vittoria a portata di mano. Non sapeva di star affilando la ghigliottina con cui Mika gli avrebbe tagliato la testa.
“Com’è che si chiamava..? Dribil? Jimil..? Ah! Sì! Djbril” esclamò, sicuro ormai di averlo annientato.
Aveva solo sporcato il suo nome, il nome di quel Santo bambino, pronunciandolo. Avrebbe pagato col sangue, e Mika avrebbe lavato la sua lingua col cemento.
“Djbril è morto… per causa tua. Vedi bene di ricordartelo, schifezza.”
La vendetta sarebbe arrivata, e sarebbe stata dolce. Terribilmente dolce. Adam non se ne sarebbe neppure accorto.

“Mika, numero dieci del suo anno, giusto?”
“Sì, signore.”
“E sei venuto qui per fare domanda e diventare un Capoclasse.”
“Sì, signore.”
“Ti interessa far carriera, giovanotto?” chiese annoiato l’anziano esaminatore, seduto alla lunga cattedra che condivideva con altri cinque adulti: nessuno fra loro
pareva entusiasta di trovarsi lì.
“Non particolarmente, signore.”
“E allora perché sei qui?” rispose, stupito.
“Vendetta. Conoscerà la mia storia” strinse i pugni di fronte a gli sguardi pesanti di quella giuria. Tutti conoscevano Mika, l’impuro, Mika, il senza Compagno.
“Sì… bene… Ti daremo gli argomenti su cui prepararti e tutto il materiale di cui avrai bisogno. Le tue credenzialità, nonostante tutto, sono buone. Sarà un piacere per noi se riuscissi a superare l’esame. Ora puoi andare” lo congedò il vecchio, facendo un segno rigido con la mano, in direzione della porta.
Mika rimase al suo posto, impetto e fiero.
“Hai qualcosa da aggiungere?”
“Sì, signore.”
“Bene. Allora fallo.”
“Cercate intrapendenza in noi, è corretto?”
“Nella giusta misura, sì…” alzò un sopracciglio l’uomo, mentre gli alti della compagnia si chiedevano dove volesse andare a parare quel giovane, perché una cosa del genere non l’avevano mai vista. Un Angelo, anche se impuro, che prendeva abbastanza coraggio da parlare davanti a loro.
“Cercate un capo, un condottiero capace che allo stesso tempo sappia rispettare gli ordini come i suoi subordinati.”
“Non è un mistero ciò che cerchiamo.”
“Lasciate che dimostri la mia superiorità sconfiggendo il mio Capoclasse” rimasero basiti; nessun Puro aveva mai osato tanto: non solo proporre un’azione del genere, ma anche decantarsi avanti a loro come superiore.
“Se lo battessi avanti a voi potrei non solo mostrare la mia forza, ma anche la sua debolezza. Di certo se vi riesco non avrete bisogno di altre prove per comprendermi.”
“E se fallissi?”
“Non è un’opzione che prendo in considderazione.”
“Fallo.”
“Pulirò camerate, corridoi, classi e bagni. Tutto quello che volete. Non rialzerò la testa per il resto della mia vita.”
Il vecchio scoppiò a ridere, con grande disappunto dei suoi colleghi: “Una cosa del genere non è mai stata fatta. Ci vuole forse prendere in giro, questo bambino?” si intromise una donna alla sua destra, che aveva osservato Mika con una maligna smorfia per tutta la durata del colloquio.
“Mi piace!” riprese quello che invece aveva parlato fino a quel momento “È interessante. Ha pensieri suoi, idee, non come quella mandria di pecore là fuori” Mika si chiese cosa fosse una pecora, ma tenne per sé la domanda.
“Pensieri e idee proprie portano alla cima così come all’esclusione e alla rivoluzione” sibilò di rimando l’anziana.
“Beh, per sua fortuna non sei tu a possedere il grado più alto qui dentro, quindi la scelta spetta a me. E dato che è da un po’ di tempo che non si fa altro che ammuffire su queste sedie che, tra parentesi, sono anche scomode, uno svago non fa mai male a queste vecchie ossa
“Potrebbe essere dannoso alla nostra causa.”
“Ne dubito.”
“Ma…”
“Bene ragazzo, grazie per questo giochetto. Ti richiameremo, anzi, vi richiameremo. Come si chiama il tuo Capoclasse?”
“Adam, signore. Grazie”
“Grazie a te. Ma chiamami Capitano Shan” sorrise il vecchio.
“Grazie Capitano Shan” questa volta Mika lasciò senza problemi la stanza.
Continuò però a chiedersi cosa fosse una pecosa, cosa intendevano con la causa, e che cosa fosse un Capitano. Qualcuno di importante, a suo parere. Non gli sarebbe spiaciuto diventarlo.

Sentiva appena l’acqua scorrere mentre, occhi chiusi, ripassava gli allenamenti che aveva tenuto col suo Capogruppo. Trovare i difetti della sua strategia era fin troppo facile. Fianchi scoperti, azioni lente, comandi lanciati di fretta o nei momenti sbagliati.
Sarebbe stato impossibile perdere contro di lui.
Eppure sembrava così pieno di imperfezioni… che sembrava impossibile. E come sempre tornava la domanda: se davvero era così icompetente, come avrebbe potuto divenire un Capoclasse?
Chiuse l’acqua per poi nascondersi in un accappatoio. Si diresse verso la porta del bagno, ma poi si bloccò.
Per la prima volta, dopo cinque anni, fece ciò che non aveva mai avuto il coraggio di fare: guardò, davvero, la finestra.
Vide, davvero, quelle foglie che non solo avevano raggiunto il bordo, ma picchiavano sul vetro per entrare. Mika sorrise. Aveva smesso di cercarle, così pareva quasi che lo stessero facendo loro.
Si avvicinò, aprì persino la finestra.
Il ramo entrò dentro, prepotente, arrivando quasi a sfiorare la testa di Mika. Gli sarebbe bastato alzare il braccio, anche di poco, pochissimo, per prendere quella foglia che tanto tempo prima aveva sperato di raccogliere.
Lo fece, alzò una mano. Quasi la sfiorò. Si fermò giusto prima di toccarla.
Lo sguardo perso, riabbassò il braccio.
Che senso avrebbe avuto raccoglierla? Aveva trovato un nome per ciò che avrebbe significato, glielo aveva spiegato una bambina tanto tempo prima, ma poco importava. Nulla importava. Solo la rabbia, il dolore e la vendetta.
Non vi era spazio per la speranza.
Voltò le spalle all’albero e a tutto ciò che aveva significato per lui. Lo lasciò lì, scoperto, così facile da vedere. Da scoprire.

“Questo è… il retaggio dei Geni?”
“Questo è ciò che resta di chi vuole ancora farsi chiamare uomo.”
“È… ecco...”
“Sporca e schifosa immagino, in confronto a ciò che sei abituato a trovarti davanti.”
“Thomas!”
“Scusi boss, mi è scappato.”
“Finirà per crescerti un naso così grosso che farai crollare le gallerie.”
“Tu non ne hai bisogno, vero Cassandra? Lo è già abbastanza.”
“Pezzo di mer…”
“Bambini!”
“Io…”
“Cosa, Djbril?”
“La trovo bellissima.”
“Come puoi trovare bellissima una cosa del genere!”
“Thomas, abbassa la voce!”
“È una presa in giro! Ha davanti pezzenti che vivono in cunicoli sotterranei come i vermi, abbiamo appena cibo per tutti, siamo ammassati l’uno sull’altro.”
“Thomas, calmati…”
“Non voglio che si prenda gioco di questo! La nostra casa! La nostra resistenza! È ciò per cui abbiamo lottato tanto a lungo: la libertà. Vivere fra due fuochi non è facile, ma come può saperlo lui, che ha vissuto fin’ora nella sua voliera d’oro?!”
“Adesso basta, Thomas! Stai esagerando.”
“Non vi sto assolutamente prendendo in giro. Non ne sarei mai capace.”
“Djbril…”
“Questo… questa resistenza… è vivo. È vita. Ed è bellissima.”
“Devi sapere cos’è la morte per capire la vita? Cosa vuoi saperne tu?!”
“So che quando ho visto il buio mentre si chiudeva su di me, e lo sguardo del mio Compagno che diventava sempre più distante e spaventato, ho desiderato con tutto
me stesso di potergli stare di nuovo accanto. Di poter cancellargli quella brutta espressione dalla faccia. E questo me l’ha spiegato Cassandra: questo significa voler vivere, combattere fino alla fine, perché non si sa cosa viene dopo.”
“Oh, Djb…”
“Belle parole, certo. Ti hanno inculcato ben bene come intenerire gli occhi delle donne, nella tua scuola, vero Angelo?”
“Tom… Thomas! Thomas, testa di cocomero, torna qui!”
“Lascialo sfogare un po’, è meglio…”
“Ma boss…”
“No, ha ragione lui… sono un Angelo.”
“Ma tu sei buono!”
“Gli Angeli non sono buoni… sono Puri. Sono… uh.. soli…”
“Ehi?! Ehi! Djbril!”
“Presto, chiama un medico! Cassandra stagli vicino, vedi se riprende i sensi!”



CREDITS

In quest'ultimo mese ho avuto molte cose di cui parlare, principalmente videogiochi, e quindi molte altre sezioni del blog e post che stavo preparando sono rimaste indietro.
Mi fa sempre piacere però parlare di fanfiction, ed anche scriverne qualcuna, e per questo continuerò a pubblicare pian piano questa storia scritta da una mia amica e spero che piaccia anche a voi.



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